Origini

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A CURA DI PIERO LABBADIA
ORIGINE DEL NOME DI DRAGONE

L’origine del nome di Dragone si fonda sostanzialmente su due tesi, entrambe supportate da fonti storiche sicure e conosciute.
La prima e probabilmente la più attendibile ci riferisce attraverso la lettura del “Libro Pontificale” che il Pontefice Gregorio IV (827-844) impose a questo territorio, già precedentemente abitato in epoca preistorica e romana, il nome di “Colonia Draconis” nel IX secolo.
Qual’ è però il motivo che spinse il pontefice ad intitolare al “Dragone” la vasta zona che aveva fatto ripopolare, per difenderla meglio dalle scorribande saracene?
Il grande comprensorio boscoso compreso tra la via Ostiense e la riva sinistra del Tevere a ridosso delle alture di Dragoncello, era popolata da numerosi serpenti, tra i quali emergevano per numero e grandezza la “Regina o Dracona”, nome attribuito ai più grandi serpenti della campagna romana che sono il “Biacco” e il “Saettone” detto anche “Colubro di Esculapio”. E’ quindi da ricollegare alla presenza dei grandi rettili che popolavano l’area, il motivo principale che indusse il Pontefice ad attribuire il nome del Dragone all’entroterra della costa ostiense. A parere degli storici e degli studiosi, un motivo ulteriore alla certezza della tesi in questione è un precedente storico. L’imperatore Traiano, dopo aver fatto costruire il porto esagonale di Portus alla foce del Tevere nell’odierna Fiumicino, ordinò che sopra i labari delle coorti di cavalleria fosse raffigurato il dragone. E’ evidente che la scelta toponomastica sia dell’imperatore che del papa si presenti condizionata dalla “dracona”, presente in gran numero sul territorio. Altro motivo importante che rientrava nella politica del pontefice Gregorio IV, era quello di debellare definitivamente il culto paganeggiante che sopravviveva ancora nella zona della dea romana Giunone Regina, poiché questa divinità mitologica legava al suo simbolo, il serpente regina ( dracona). Fu introdotto fra la popolazione locale la leggendaria figura del cavaliere San Giorgio ( che il Pontefice venerava in modo particolare, tanto da aver finanziato a proprie spese opere in San Giorgio al Velabro). La leggenda di San Giorgio, cavaliere e martire cristiano, ci narra del suo incontro con il mostruoso drago, in una città della Libia. Il drago ( simbolo del diavolo e del male) fece la sua comparsa in quella città pagana. Gli abitanti cercarono di placare la ferocia della bestia dapprima offrendogli in sacrificio degli animali poi alcuni membri della comunità. Quando venne sorteggiata la figlia del re (simbolo della chiesa) e fu condotta ad attendere l’orrenda fine, San Giorgio (simbolo del bene) arrivò e in un violento duello uccise il feroce drago e convertì la popolazione al cristianesimo. La figura di San Giorgio sostituì quindi rapidamente nella popolazione il culto ormai antico della dea romana Giunone Regina. Altri studiosi, sostengono che ad introdurre il culto di San Giorgio nel territorio furono ancor prima del IX secolo, soldati dell’esercito bizantino al seguito del leggendario generale Belisario che nel 536 entrò a Roma, dove per un anno subì l’assedio del goto Vitige e che riuscito a rompere l’assedio, inseguì Vitige fino a Ravenna, dove nel 540 lo costrinse alla resa. Questi soldati probabilmente si stanziarono nel territorio alla fine dell’assedio di Roma mescolandosi con la popolazione locale. Del culto molto forte sul territorio rimangono a testimonianza, Casale San Giorgio, che fu edificato nella zona, la contrada e la chiesa di San Giorgio di Acilia e il grande quadro del Santo ritratto nella sua immagine caratteristica, mentre trafigge il drago, esposto nella chiesetta a lui dedicata nel castello Rospigliosi di Maccarese. Il Papa così facendo cancellò definitivamente la venerazione per la divinità latina sostituendola con il santo, protagonista indiscusso contro il male, colpendo l’immaginazione popolare.
Altri studiosi tra i quali emerge la figura di un altro illustre studioso del territorio A. Nibby, sostengono che il nome del comprensorio deriverebbe da quello del suo proprietario di nome “Draco”.
L’evoluzione del nome della colonia Draconis fu lenta e secolare, si trasformò nei secoli successivi in Dragoni, poi Dragone, nome leggibile ancora oggi su gran parte delle cartine topografiche, per poi essere volgarizzato dal 1950 in poi, in Dragona, nome con cui oggi è identificata questo quartiere di Roma.

CENNI STORICI

Le testimonianze di epoca arcaica si riferiscono principalmente alla città latina di Ficana e sono concentrate nell’area di Monte Cugno ( Monti di San Paolo). La volontà di controllare gli approvvigionamenti di un bene indispensabile come il sale, e di dominare un territorio strategicamente decisivo come quello della foce del Tevere, spiega molte vicende storiche della zona in età arcaica: in primo luogo, la presenza della città leggendaria di Ficana su Monte Cugno in una posizione strategica dal punto di vista militare e commerciale, e secondariamente la politica relativa al IV re di Roma Anco Marcio ( 640-616 a. C.), che sulla riva sinistra del fiume avrebbe conquistato prima Ficana, poi fondato secondo la leggenda Ostia alla foce ed infine create, ma probabilmente solo sistemate, le saline.
La città arcaica di Ficana, città dei Latini, sorgeva sulle piccole alture di Monte Cugno. Le alture di Dragoncello-Monte Cugno dominano il lato sinistro della valle del Tevere, sono le prime colline arrivando dal mare, che era all’epoca più vicino. Le continue arature, che si sono susseguite nei secoli e soprattutto gli sbancamenti agli inizi del 1900, hanno addolcito i pendii che in origine dovevano essere scoscesi. L’affluente di Fosso Galeria all’altezza di M. Cugno proveniente dall’importante città etrusca di Veio e l’affluente di Malafede che metteva Ficana in comunicazione con Castel di Decima e con i Colli Albani poneva questo luogo  in posizione strategica.
Essa fu nominata più volte da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nel Naturalis Historia (III, 68-70), tra le 53 tribù che sono scomparse, inglobate da Roma, da Tito Livio (59 a.C. –17 d.C.) nel Ab Urbe condita, da Dionisio di Alicarnasso nel Antiquitates Romanae che ci informa più dettagliatamente sulla conquista da parte di Roma e da Festo, vissuto alla fine del II secolo d. C. che ci consente una più precisa ubicazione della città.
Ficana fu conquistata da Anco Marcio IV re di Roma tradizionalmente datato tra il 640 e il 616 a.C. per dotare Roma di uno sbocco al mare. A parte Ficana egli avrebbe conquistato anche le città di Tellene (Tellenae) e Politorio (Politorium) al fine di controllare la foce del Tevere e le preziose saline esistenti su entrambi i lati del fiume. Dopo aver conquistato la città seguendo la tradizione dei precedenti re che avevano accresciuto lo Stato romano con l’accogliere i nemici nella città, trasferì l’intera popolazione a Roma presumibilmente sul colle Aventino dove erano stati trasferiti anche gli abitanti di Politorio e Tellene. Due anni dopo aver preso Ficana senza però arrecare gravissimi danni alla città, i Latini, come ci suggerisce Dionigi di Alicarnasso, inviarono coloni che occupando la regione dei Ficanensi ne sfruttarono le risorse. Anco Marcio fu costretto per la seconda volta a muovere guerra a Ficana e dopo averla definitivamente conquistata né  bruciò le case e rase al suolo le mura.
Secondo la tradizione dopo la conquista della foce del Tevere, il IV re di Roma avrebbe fondato il porto di Ostia (Ostium: foce) alla fine del VII  secolo a.C..
Si può sottolineare comunque l’elemento della continuità cronologica. Non c’è nessun accenno a un’interruzione nel VI secolo a. C. dell’abitato, come ci si dovrebbe attendere se la tradizione antica su Anco Marcio dovesse essere intesa letteralmente. Ficana anzi, sembra addirittura espandersi e raggiungere le sue massime dimensioni proprio in quest’epoca. Evidentemente la tradizione storica su Ficana, ha una sua coerenza che non v’è motivo di mettere in dubbio nel suo insieme, va invece interpretata in senso più ampio; la conquista romana della città non significò la sua distruzione fisica, ma la sua annessione nella sfera romana cioè la fine della sua autonomia politica, economica e militare.
Nel periodo repubblicano tra la metà del IV-III sec. a. C. si segnalano dei cambiamenti a causa di una colonia ad Ostia. Il territorio venne suddiviso in lotti per scopi agricoli. Nel periodo medio-repubblicano Ficana perse senza dubbio di importanza man mano che Roma consolidava il proprio dominio nel Lazio e la colonia di Ostia acquistava la sua importanza.
La storia di Ficana come tale finisce qui, essa era ormai ricordata come una città estinta sulla cui posizione ancora all’epoca di Augusto si aveva qualche vaga idea, ma che all’epoca di Vespasiano veniva solo annoverata da Plinio fra le antiche tribù laziali scomparse.
La zona  fu allora adibita interamente a scopi agricoli . Sorsero così sparse per il territorio, le “villae rusticae”, i cui proprietari erano senza dubbio famiglie benestanti. I resti di ricchi monumenti sepolcrali trovati lungo la via Ostiense ne sono la testimonianza.
Le iscrizioni romane ci informano a proposito della gens Acilii che ha dato il nome all’odierna borgata di Acilia.
Nell’area di Dragona e Dragoncello vennero realizzate tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a. C. ( età repubblicana ) diverse ville rustiche, che non possono non essere messe in relazione con la fondazione di Ostia e lo sfruttamento da parte di coloni del territorio per scopi agricoli, anche se, la presenza sul territorio in numero così ridotto, fa presupporre uno sfruttamento della terra a scopi strettamente familiari di semplice sussistenza, mentre gran parte della campagna era destinata a pascolo. Tali fattorie, di modeste dimensioni furono abbandonate verso la fine del II sec. a.C., il tramonto della piccola proprietà a favore della media proprietà e del latifondo non poteva trovare prove più eloquenti.
Nei primi 50-60 anni del I sec. a.C. si assistette ad una ridistribuzione di tutta questa area a nuovi coloni, è chiaro come questa nuova assegnazione fu dovuta alle guerre civili. Le nuove ville rustiche di dimensioni notevoli, ( le proprietà terriere occupavano mediamente tra i 25-40 ettari, anche se non si può escludere l’ipotesi di un unico grande latifondo frazionato ad affittuari o coloni) erano più idonee ad uno sfruttamento razionale della terra. L’area di Dragona, Dragoncello, Monte Cugno presenta la più alta concentrazione di ville rustiche di tutto il territorio ostiense. Tale concentrazione fu senza ombra di dubbio favorita dalla vicinanza del fiume Tevere che poteva offrire un più immediato e facile sbocco commerciale ai prodotti agricoli ( Plinio e Columella ricordavano quanto fosse vantaggioso, coltivare la terra presso un corso fluviale o lungo la costa del mare per gli stessi motivi sopra citati).
Tutte le ville tardo-repubblicane furono frequentate fino alla prima età imperiale. Dal II sec. d. C. e più marcatamente dagli inizi del III sec. d. C. in poi ebbe inizio il graduale e inarrestabile processo di abbandono e spopolamento del paesaggio agricolo.
Il crollo dell’impero romano determinò un periodo di crisi per questo territorio che tornò a far parlare di se, come già citato, solo quando i cronisti dell’epoca e gli scrivani del “Libro Pontificale” del IX secolo ci riferiscono che papa Gregorio IV per difendere Roma e la sua campagna, dalle scorribande saracene, fece erigere il borgo fortificato alle spalle dell’antica Ostia romana, che fu denominato in suo onore Gregoriopoli. Le poche torri di guardia, costruite lungo la costa edificate sotto il pontificato di Leone III, non erano sufficienti alla difesa contro le scorrerie di Mori, Saraceni, Algerini e Tunisini che ormai da alcuni decenni saccheggiavano la costa ostiense. Roma e soprattutto le popolazioni costiere erano esposte ad attacchi continui, anche perché le mura di Ostia e di Portus erano ridotte ormai in un vero colabrodo e non erano più in grado di proteggere gli abitanti del luogo. Il pontefice volle allora cercare di ripristinare le mura di Ostia, ma quando si rese conto delle catastrofiche condizioni in cui versava l’antica colonia romana, decise di raccogliere la popolazione rimasta in un nuovo borgo che sorse proprio alle sue spalle. Il borgo sorse a tempo di record, in quanto oltre alla paura ormai forte nella popolazione, si poteva disporre in grande abbondanza di materiale da costruzione per il quale l’antico sito archeologico divenne una gigantesca cava di materiali edili, abitudine che resistette anche nei secoli successivi quando Pisani, Genovesi e gli stessi Romani asportarono marmi, sculture e laterizi per costruire le proprie costruzioni, o addirittura per farne della calce, infatti il marmo se cotto in apposite fornaci fatte sul luogo dava origine ad una calce di ottima qualità. La cittadella fu munita di una cinta muraria, torri, baluardi e macchine da guerra, all’interno la basilica di Sant’Aurea che avrebbe dato l’allarme ad un eventuale attacco con le sue campane. Dunque il borgo raggruppò le popolazioni residue di Ostia, Portus e gli operai delle vicine Saline. Per completare la difesa del territorio, il pontefice prese l’importantissima decisione di ripopolare la campagna ostiense a ridosso delle alture di Dragoncello con la realizzazione di una delle tante tenute agricole che fece costruire nella campagna romana ( da ricordare anche la tenuta agricola di Ponte Galeria). A questa nuova tenuta agricola impose il nome di “Colonia Draconis” successivamente  “Tenuta del Dragone”.
Il pontefice mostrò una generosità non priva di calcolo assegnando le terre e i casali a famiglie contadine numerose, con un buon numero di figli maschi in grado di saper maneggiare una spada, con la consapevolezza che soltanto chi possiede e ama la propria terra è disposto a difenderla con le armi.
Il 24 marzo 1081 il papato concesse ai monaci di San Paolo fuori le mura un possedimento in località Dragone con tutte le sue pertinenze. Nel 1300 un casale sui prati di Acilia, detto di San Giorgio, posseduto dalla chiesa omonima di Roma fu permutato con altri beni di Buccio dei Capuzi. Dopo il 1300 la tenuta di Dragoncello divenne possesso dei frati di San Paolo e da allora in poi la località prese il nome di “Monti e Prati di San Paolo”.
Dragone cadde nei secoli successivi in uno stato di abbandono, che generò un diffondersi di acquitrini e di paludi con la conseguente diffusione della malaria, che contributi ancor di più a spopolare questi luoghi. La cartografia antica del XVI e XVIII sec. ci fa comunque notare una certa continuità di un insediamento formato da una torre denominato “Dragoni”, come documenti datati 1853 (conservati presso il Museo Agostinelli) documentano una intensa attività agricola nella zona.
Furono comunque i Romagnoli verso la fine dell’ottocento, chiamati a bonificare il territorio circostante, a redimere le terre dell’agro romano e a creare i presupposti per il suo futuro urbanistico, sociale ed economico. Le bonifiche modificarono radicalmente l’assetto morfologico e paesistico del territorio della foce del Tevere sostituendo ai caratteri paesistici e naturalistici tipici della costa tirrenica ( lagune, macchia mediterranea e dune) elementi antropici quali canali, filari alberati, colture irrigue, strade che pertanto rappresentarono il motore del successivo fenomeno di urbanizzazione.
Il territorio tuttavia ancora verso la fine dell’ottocento era diviso in grandi latifondi appartenenti alle più importanti casate nobiliari romane quali, i principi Torlonia ( sulla riva destra del Tevere), i principi Aldobrandini (terreni intorno ad Ostia Antica), Chigi ( Castel Fusano) e gli Altieri ( proprietari dei terreni su cui oggi sorgono Dragona, Dragoncello, Villaggio San Francesco, Monti di San Paolo e Centro Giano). Agli inizi del “900 quest’ultima nobile casata cedette i suoi terreni alle famiglie Corsetti ( Dragone), Micara  ( Dragoncello), Ascoli (Monti di San Paolo) . Dal 1920 anno in cui inizia la redenzione della campagna aciliana e di Dragone, fino agli anni “40, vennero realizzati  chilometri di fossi di scolo, edificate case coloniche, stalle, vennero piantati alberi ( pioppi ed eucalipti), i vecchi sentieri furono risistemati ed allargati, si rifecero i fondi delle strade, la vita agricola si intensificò e furono immessi centinaia di capi di bestiame bovino ed equino. Le tenute di Dragone e Dragoncello furono appoderate con cinque vaste e moderne vaccherie, e fu realizzato un sistema di canali e canalette per l’irrigazione e lo smaltimento delle acque.
Nel dopoguerra parte della tenuta agricola dei Corsetti fu lottizzata e venduta in lotti di circa 1000 mq. Ad acquistare questi appezzamenti di  terreno furono soprattutto braccianti o pastori emigrati in gran parte dal basso Lazio, Campania, Calabria, Abruzzo e dal meridione in genere. Sorse così intorno agli anni  “50 un insediamento spontaneo, fatto di edifici abusivi realizzati con materiali poveri, e privi delle pur elementari regole urbanistiche ed architettoniche, senza un piano regolatore, senza licenza, servizi e strutture. Nel 1954 proprio vicino a dove esiste oggi il Centro Anziani tra via dei Romagnoli e via Carlo Casini fu girato il film “Le notti di Cabiria” di Federico Fellini. Per l’occasione la casa di blocchetti di Cabiria (Giulietta Masina) fu costruita sul posto, identica alle altre già esistenti e le luci del quartiere che si vedono nel film non sono altro che gruppi di generatori che alimentavano i lampioni adattati per l’occasione. Dragona nelle immagini del film si presenta come una pianura desolata, sulla quale si ergevano le prime scalcinate case, in blocchetti ed a un piano. Nel 1967 venne costruita la prima chiesa del quartiere dedicata a Santa Maria Regina dei Martiri, ( in occasione dell’anno giubilare del 2000 impreziosita con un mosaico posto nell’abside) officiata da don Andrea , primo parroco di Dragona . Restaurata nel 1983 dal Vicariato di Roma con le offerte dei fedeli, nel 1984 don Andrea fu sostituito dall’attuale parroco don Claudio  e nel dicembre 1986 visitata da sua Santità Giovanni Paolo II. Con molta fatica e tenacia gli abitanti di Dragona riuscirono ad ottenere i primi servizi, quali acqua, luce e impianto fognario, l’asfaltatura e l’illuminazione di maggior parte delle strade primarie e secondarie, l’Istituto scolastico da poco intitolato all’imperatore romano “Marco Ulpio Traiano” (1983) e il parco pubblico (1975).
Alla fine degli anni “70 l’Amministrazione Comunale, varò una serie di Piani per il recupero delle periferie romane denominate “Zone O”. Il Piano Particolareggiato di Dragona, per il recupero urbanistico venne elaborato nel 1977, presentato nel 1985 adottato nel 1995 modificato a seguito delle osservazioni nel 1999 e approvato definitivamente il 31 marzo 2003. Questo, insieme agli art. 11  L. 493/93 (strumento urbanistico che permette ai privati di edificare grandi volumetrie in cambio della realizzazione di opere pubbliche a scomputo) ha lo scopo di realizzare i servizi pubblici del quartiere e di risanare il tessuto urbano spontaneo. Tra le opere più interessanti che il piano prevede citiamo: la Piazza pubblica davanti alla chiesa Santa Maria Regina dei Martiri, la Piazza pubblica davanti il Casale “Torcolini” su via di Dragone, il recupero del Casale “Corte Grande”, il recupero della villa romana, la realizzazione di parchi pubblici e di scuole ( asili, materne, elementari e medie), il campus nell’Istituto “Traiano” , la stazione ferroviaria, il Palazzo della Musica, il Mercato comunale e la realizzazione di diverse opere viarie e parcheggi.
Merita  una nota di apprezzamento nella lunga battaglia di sviluppo del quartiere, il Comitato Cittadino di Dragona che  ha sede nel Casale “Torcolini”, che attraverso stretti rapporti di collaborazione con le Pubbliche Amministrazioni, ha ottenuto importanti risultati per il miglioramento della qualità della vita del quartiere in ambito sociale e culturale, intervenendo positivamente soprattutto nel campo dei lavori pubblici e dell’urbanistica, strumento indispensabile di partecipazione attiva dei cittadini senza il quale il comprensorio avrebbe avuto una crescita di gran lunga inferiore.
In conseguenza dell’adozione del Piano Particolareggiato di Dragona a partire dal 1999 si affianca al tessuto di edilizia spontanea, una nuova edilizia residenziale di discreta qualità, con villini d’ispirazione rurale, realizzati ad un solo piano e curate nei particolari architettonici attraverso l’uso del mattone laterizio, del tufo a faccia vista e del legno.

MONUMENTI ESISTENTI NEL TERRITORIO
VILLAE RUSTICAE di DRAGONCELLO

Gli studiosi di archeologia del territorio ostiense del XIX e XX secolo ma soprattutto del nostro, si interessarono particolarmente della località di Dragoncello per la sua felice posizione, dalla quale si poteva controllare il corso del vicino Tevere. Nel passato si è spesso ritenuto questo, il luogo dove sorgeva la leggendaria città latina di Ficana, che invece fu individuata nel 1973 sulle alture dei Monti di San Paolo precisamente su Monte Cugno, inoltre gli occasionali rinvenimenti di sepolcreti e di iscrizioni lungo la via Ostiense e la presenza di una statua acefala ed altro materiale archeologico, presso il casale rustico di Dragoncello di proprietà della famiglia Micara, confermarono l’ipotesi dei vari studiosi che tutta l’area fosse stata intensamente frequentata in età romana. Si avvertì quindi la necessità di conoscere, studiare e tutelare la zona, ponendo vincoli preventivi in occasione di una speculazione edilizia che tendeva a creare nella zona di Dragoncello, un quartiere residenziale modello. A tal fine fu  organizzata da parte dell’archeologo Angelo Pellegrino ispettore della Soprintendenza Archeologica di Ostia, una campagna di scavo di ampia estensione territoriale. Fu effettuata una ricognizione topografica preliminare sul terreno che permise di individuare e delimitare ben otto aree archeologiche, in gran parte relative a ville rustiche di età repubblicana e tardo ellenistiche, di determinarne la loro estensione, e successivamente si  intervenne all’interno delle varie aree con lo scavo vero e proprio. Le villae rusticae di Dragoncello sorsero tra la fine del II e gli inizi del I secolo a. C.. I proprietari erano senza dubbio famiglie benestanti. Di grandi dimensioni erano attrezzate per uno sfruttamento più razionale della terra, finché cominciò il loro lento e graduale abbandono in concomitanza con la grave crisi agricola che ebbe a verificarsi a Roma e nel resto della penisola italica.

VILLA RUSTICA DI DRAGONA

Lo scavo condotto dall’archeologo Angelo Pellegrino della S.A.O. ha messo in luce una villa rustica di notevole grandezza, circa 25.000 mq, costruita verso gli inizi del I sec. a. C. e frequentata intensivamente fino alla prima età imperiale. Essa è costituita da un ampio cortile centrale, con pozzo che originariamente era circondato da un portico di colonne laterizie; intorno ad esso si dispongono i vari  ambienti principali, tutti con muri in opera incerta o quasi reticolata, con pavimento o semplice cocciopesto o dei cosiddetti pavimenta scutulata; questi ultimi rappresentano le varie tipologie e coprono un arco cronologico che va dai primi del I secolo a. C. fino all’età augustea. I vani orientali, abbastanza ampi e con pareti adorne di affreschi, senz’altro rappresentano la parte residenziale della villa. A nord del cortile è stata ritrovata la parte rustica costituita dai caratteristici dolii ( fino ad oggi, ne sono stati messi in luce tre) della capienza di circa 1000 litri ciascuno. Nel settore meridionale dell’area sono stati individuati, ma non completamente scavati, due portici rispettivamente a colonnine di tufo e grandi pilastri laterizi. A cavallo tra il periodo tardo imperiale e l’alto medioevo, quando l’edificio già era stato abbandonato, tutta la zona fu disordinatamente occupata da tombe alla cappuccina che invasero gli ambienti della villa. Si tratta di sepolture povere costituite da coppi e tegoloni recuperati dal crollo della casa, che contenevano il defunto con un coppo sotto la testa e le braccia ripiegate sul bacino. Una di esse si caratterizza per il fatto che tutte le tegole presentano il medesimo bollo rettangolare di “P. Postumi” della prima età imperiale.
In conclusione, allo stato attuale delle nostre conoscenze e ricerche, possiamo in tal modo schematicamente indicare le varie fasi della villa:

  • Inizi I secolo a. C.: costruzione dell’edificio. Muri in opera incerta. Pavimenti in cocciopesto.
  • Fine I secolo a. C.: ampia ristrutturazione. Muri in opera reticolata. Pareti dipinte. Pavimenta scutulata.
  • I secolo d.C.: massima frequentazione. Muri in laterizio.
  • II secolo d.C.: frequentazione ridotta e limitata solo alla parte rustica. Muri in opera laterizia non buona. Progressivo abbandono della villa.
  • Dopo il V secolo d.C.: rioccupazione della zona con tombe alla cappuccina.
FATTORIA REPUBBLICANA IV-III SEC. a.C.

Alla fine di Via Sarnico, immersi nello splendido scenario che si presenta al visitatore, di scorcio di campagna romana, con tanto di torre medioevale all’orizzonte e rispettivo casale sull’antistante piccola altura presso il Tevere, sono stati rinvenuti durante gli scavi condotti dall’archeologo Angelo Pellegrino della S.A.O. materiali riferibili ad una fattoria di età repubblicana sorta tra il IV ed il III secolo a.C.. Purtroppo i lavori agricoli che si sono succeduti attraverso i secoli hanno completamente distrutto le strutture e i pochissimi resti conservatisi consistono in qualche isolato blocco di tufo relativo alle mura. In superficie sono stati raccolti numerosi frammenti di ceramica di impasto, pesi di telaio e frammenti di ceramica a vernice nera. Questi ultimi rivestono un certo interesse in quanto ascrivibili a forme del III secolo a.C.. Si segnala anche un frammento decorato con un medaglione rappresentante Ercole, caratteristico delle Heraklesschalen e una lucerna, sempre a vernice nera, databile fra il tardo II sec. a.C. e gli inizi del successivo. Non è stata ritrovata ceramica posteriore alla prima metà del I sec. a.C.

EDIFICIO SUL TEVERE

Sulle sponde del Tevere allo sbocco del Fosso di Dragoncello è stata messa in luce parte di un edificio di pianta quadrangolare con piccola abside ( m. 7.50 x 10.50) la cui destinazione risulta ancora ignota. Neppure si comprende quale rapporto esso possa avere con il vicinissimo fiume. Esternamente presenta due paramenti, il primo in opera reticolata nella fascia inferiore e l’altro in opera mista in quella superiore, corrispondenti alle due fasi della costruzione, risalente rispettivamente al I secolo a.C. ed alla fine del I sec. d.C.. Durante lo scavo è stata recuperata una gran quantità di frammenti di intonaci dipinti con ottime decorazioni di architetture in prospettiva, figure di animali e umane: non è ancora possibile un preciso inquadramento cronologico e stilistico in quanto sono ancora in piena fase di restauro, si tratta comunque di una buona pittura della prima età imperiale. E’ stato inoltre ritrovato un ex-voto fittile raffigurante un bimbo in fasce realizzato in un ottima terracotta probabilmente prodotta da qualche officina laziale, ricavata però da uno stampo un po’ logoro. I neonati in fasce nei santuari erano abbastanza frequenti e venivano offerti dalle madri per invocare la buona salute per essi. Derivati da quella serie di rappresentazioni infantili che ebbero inizio con il fanciullo con l’oca di Boethos, in genere sono stati datati dagli studiosi intorno al II sec. a.C. . Tuttavia il nostro esemplare, tenendo conto dei dati forniti dallo scavo, si daterà non prima del I sec. a.C.

VIA OSTIENSE E NECROPOLI

Con la creazione della colonia di Ostia nel IV secolo a.C. e poi con il graduale accrescersi della sua importanza, la via Salaria mutò il suo nome nel tratto da Roma ad Ostia in quello di via Ostiensis. E’ opinione infatti degli studiosi basata su fonti antiche che la via Ostiensis coincida con l’originale tratto meridionale da Roma al mare della Via Salaria, che le popolazioni sabine percorrevano per procurare il sale alle foci del Tevere. La volontà di controllare gli approvvigionamenti di un bene indispensabile come il sale, e di dominare un territorio strategicamente decisivo come quello della foce del Tevere, spiega molte vicende storiche della zona in età arcaica. L’antica strada, pavimentata per la prima volta attorno alla metà del III sec. a.C. (l’undicesimo cippo miliario, rinvenuto a Malafede ne è una testimonianza, datato al III sec. a.C., è relativo ad una delle prime sistemazioni), era fiancheggiata da tombe, che dalla Porta Romana delle mura di Ostia giungevano fino a circa 8 Km, poco oltre Acilia ( secondo gli studiosi era segno di distinzione farsi seppellire lontano dalla città). E’ certo che ad Acilia vanno localizzati alcuni dei sepolcri più importanti, uno dei più noti sarcofagi romani, dove sono raffigurati dei filosofi, probabilmente del padre dell’imperatore Gordiano III ( morto nel 244 d.C.) che viene raffigurato come un giovanetto, fu rinvenuto ad Acilia, ed è oggi custodito nel Museo Nazionale Romano.
Dal 1994 in seguito ai lavori per la realizzazione del sottopasso di Acilia e l’ampliamento della via del Mare, l’archeologo Angelo Pellegrino insieme ai suoi collaboratori, della Soprintendenza Archeologica di Ostia ha effettuato una campagna di scavo, presso la stazione ferroviaria di Acilia al Km 18 della via del Mare che ha consentito di mettere in luce un tratto dell’antica via Ostiense per una lunghezza di circa 400 metri con aree sepolcrali disposte ai lati. La zona interessata corrisponde al XII miglio dell’antico tracciato che in questo punto attraversa il sistema collinare di Dragoncello, area interessata dalla presenza di modeste fattorie del periodo medio repubblicano e che fu caratterizzata nel I sec. a.C. dalla presenza di ville rustiche, impianti abitativi rurali di grandi dimensioni, la cui gestione era affidata a lavoratori e liberti di origine greco orientale, tra i quali andranno ricercati molti dei committenti dei monumenti sepolcrali e delle sepolture che si affacciano alla strada. La via correva ad una quota più alta, mediamente di circa m 1,5 rispetto al piano di calpestio della necropoli, il basolato e gli strati sottostanti erano sostenuti da due possenti muri di sostruzione, uno di quattro filari in opera quadrata di tufo, l’altro di tre. Questa era scandita, ad intervalli di 12 m, da blocchi ortogonali disposti al suo interno, tale singolarità, era dovuta alla necessità di garantire il  contenimento del terrapieno al di sotto del basolato. Sui due lati, la via disponeva di necropoli composte da monumenti funerari e aree sepolcrali a cielo aperto, utilizzate sia per incinerazioni che per le inumazioni. Le opere sopra descritte sono state del tutto smantellate dalla S.A.O. e ricostruite sopra la galleria, dove oggi tali strutture si possono di nuovo ammirare nel pieno del loro splendore in un’area antistante la stazione di Acilia.

VILLA PAPALE

In Curte Draconis Papa Gregorio IV si fece edificare una splendida villa di campagna che le cronache dell’epoca ci descrivono “ circondata di portici, si distendeva attraverso saloni e solarii” come si può leggere su il Liber Pontificalis II, 82 :” ipse pontifex in curte quae cognominatur Draconis, domum satis dignam, undique porticibus ac solariis circumdatam a solo noviter fieri statuit, in qua tam ipse quamque etiam futuri pontifices cum omnibus qui eis obsequentur ibidem statione immorare solebant”.
Siamo dunque in presenza di quella che rappresenta a tutt’oggi la prima villa papale della storia, costruita a scopo di villeggiatura e degna di accogliere i Vescovi di Roma. L’edificio papale era inserito in un ambiente naturale di cui Orazio aveva detto “ ille terrarum mihi praeter omnes angulum ridet” ed era collocato con molta probabilità sopra di una collina, in posizione dominante e presentava una planimetria composta da più fabbricati; oltre all’edificio residenziale del pontefice, essa poteva includere la biblioteca, una chiesetta,  portici e torri di avvistamento disposti in modo vario all’interno di un ampio giardino. Solitamente nel luogo più alto del giardino si trovava la cisterna di raccolta dell’acqua piovana, dalla quale si dipartivano le tubature di terracotta che raggiungevano le varie parti della villa.
Rincresce che della villa gregoriana non resti che un lontano ricordo. I primi colpi li ricevette dalle incursioni dei Saraceni, sempre pronti a gettarsi sulle coste romane per commettere razzie. Un’altra rovina la causarono le lotte dei baroni che trovarono nelle vicine macchie un luogo così propizio agli agguati e alle ritirate da Roma, favorite dal Tevere. Ma ciò che disperse la villa papale e la piccola corte che certo vi si costituì intorno, fu la decadenza che si abbatté su questa parte della campagna romana, che si trasformò in una vasta plaga deserta, incolta, insalubre ed inospitale.
Di questa importante costruzione, allo stato attuale delle ricerche non abbiamo purtroppo testimonianze materiali e di conseguenza è difficile la sua collocazione, nonostante una fonte così importante e sicura come quella del libro pontificale, che accredita la tesi che nella tenuta dei Draghi sorgesse la prima villa papale della storia edificata per volere di Gregorio IV, sufficientemente nota agli archeologi, ma anche assai imperfettamente individuata. Certamente altre sorprese ci attendono, man mano che procederanno gli studi, le ricerche ed i sondaggi e forse scopriremo testimonianze ancor più suggestive e rivelatrici delle attuali

CASALI RURALI

Il patrimonio storico architettonico di edilizia rurale di Dragone è costituito da diversi casali tra i quali emerge per importanza il casale padronale denominato “Casal Dragone”, edificato nel 1927, probabilmente su precedenti resti medioevali ( come risulta dalle carte topografiche antiche e dalla presenza nelle immediate vicinanze dell’edifico di materiale archeologico rinvenuto con molta probabilità durante gli scavi di costruzione dell’edificio attuale o nelle immediate vicinanze: conci squadrati, basamenti in marmo di colonne ecc.)  che ha caratteristiche diverse dagli altri poiché adibito e progettato per scopi residenziali  (tipologia a villa di campagna), dalla famiglia Corsetti attuale proprietaria della Tenuta. La famiglia Corsetti è infatti proprietaria del comprensorio di Dragone dalla fine dell’800, quando Antonio Corsetti l’acquistò dai principi Altieri. Antonio ebbe due figli Carlo e Francesco ai quali andò divisa la tenuta. Carlo ebbe la parte verso il fiume Tevere, proprietà attuale del figlio Piero Corsetti ( Casal Dragone), mentre Francesco ebbe la parte interna confinante con via dei Romagnoli, dove  sorgono Casale Corte Grande venduto al Signor Schiavi, Villa della Corsesca, venduta alla fine degli anni “50 alle monache di clausura dell’Ordine Religioso della Visitazione di Santa Maria che lo trasformarono in convento e il Casale “Torcolini” dal nome dell’attuale proprietario. Dalla vendita e lottizzazione di questa parte della tenuta, e sorto abusivamente l’attuale quartiere. Altri casali adibiti a residenza dei contadini dell’antica tenuta agricola sono sparsi all’interno della Riserva Statale del Litorale Romano e nel  centro urbano del quartiere. La maggior parte di questi casali presentano le medesime  caratteristiche costruttive, formati da un edificio centrale a due piani  adibito ad abitazione del fattore con costruzioni laterali ad un solo piano, adibite a stalle e a magazzini per attrezzi agricoli. I corpi di fabbrica si dispongono intorno ad un cortile, come nel caso di Corte Grande intorno al quale sorgono altri manufatti, abitazione dei braccianti o ricoveri per animali da cortile. Il centro della tenuta era costituito da un casale ( Casal Dragone) dove risiedeva il “padrone” in alcuni periodi ed in genere il personale con funzioni di direzione e di amministrazione, oltre ai guardiani, mentre la popolazione rurale, in gran parte stagionale, era costretta ad alloggiare in capanne di paglia e legno, mentre quella stanziale nei casali minori ( Casale Quartuccio).
Il comprensorio sul quale si trovano i casali, è costituito da una struttura basata sull’incrocio dei due collettori primari, dai quali si diramano l’insieme dei canali secondari che seguono l’andamento del corso del Tevere, in una sorta di schema concentrico bordato da alberature frangivento, evidenziato dalla rete viaria, lungo la quale si trovano i centri agricoli ed i casali della bonifica. Queste costruzioni sono quasi sempre circondate da due specie arboree: il pino o l’eucalipto, talvolta entrambe presenti. La strada principale e il canale di bonifica sono circoscritti ai margini da una alberatura frangivento di cui l’eucalipto è l’essenza predominante. Intorno ai casali un altro fattore caratteristico è l’alberatura domestica, la cui essenza prevalente è il pino domestico (Pinus Pinea). L’attività agricola è costituita prevalentemente da seminativo irriguo ( ortaggi, grano, foraggio, sorgo, tabacco ecc.), mentre quella zootecnica si caratterizza per l’allevamento di bovini ed ovini da latte, e da cavalli da concorso: sono presenti, infatti, piccoli galoppatoi nei centri agricoli più grandi.

COLLEZIONE AGOSTINELLI

Il Museo della cultura popolare e dell’artigianato scomparso, meglio noto come Museo Agostinelli, nasce intorno alla metà del 1960, quando il suo fondatore ed allestitore, Domenico Agostinelli, nato in una famiglia di estrazione contadina, si trasferisce dall’Abruzzo natale, più precisamente da Villa Pastinella, una frazione di Campli in provincia di Teramo, a Roma in località Dragona dove il Museo è tutt’ora collocato. La struttura, privata (anche se qualche interesse nei suoi confronti è stato mostrato negli anni passati da parte della Soprintendenza alle Belle Arti di Roma e dal Museo Nazionale di Arti e Tradizioni Popolari) è gestita direttamente da Domenico Agostinelli ( prima ancora che museografo, Santaro e poi mercante d’arte, antiquario e collezionista) con accesso gratuito. Il Museo Agostinelli, allo stato attuale delle cose, occupa complessivamente tre piani di una modesta palazzina  a cui si  aggiungono diversi magazzini sparsi nei dintorni della stessa, dove sono disposti, con gravi problemi di conservazione, tutti quegli oggetti che ancora aspettano di trovare una sistemazione definitiva. I criteri espositivi del materiale raccolto esulano da quello che sono i modelli della museografia istituzionale; la stragrande maggioranza degli oggetti non è collocata all’interno di vetrine ma appesa al muro o al soffitto, disposta su tavoli, e quindi per lo più “a portata di mano”. L’enorme quantità di materiali presenti all’interno del Museo ( si calcola più di seicentomila) in parte è stata raccolta direttamente da Agostinelli in anni e anni di ricerche e viaggi , in parte è stata portata al museografo ( a vario titolo) da amici, collaboratori o clienti; si tratta di oggetti prodotti nel periodo compreso tra il 1500 al 1950; quanto prodotto dal 1950 al 2000 è invece oggetto di una raccolta separata ( la scatola del tempo) destinata ad essere rappresentativa della evoluzione tecnologica che c’è stata in questi ultimi decenni ed a formare una “costola” del Museo Agostinelli degli anni futuri. I veri protagonisti della raccolta sono gli oggetti , soprattutto quelli di fabbricazione artigianale, oggetti che nascono da profondi saperi della mano e considerati importanti esempi di sintesi tra funzionalità ed estetica. Nel museo sono raccolte diverse tipologie di materiali: si va da cimeli storici a meteoriti e fossili, dai dipinti agli strumenti del lavoro artigiano e contadino ( questi presenti in schiacciante maggioranza al primo piano, in linea anche con quelli che sono gli ideali che orientano l’attività del museografo). Questa varietà dipende dal fatto che il museo non vuole essere tematico, ma globale (non tutto … ma di tutto è il motto del suo allestitore) e questo  ideale di completezza poggia sulla particolare visione che della storia e delle culture degli uomini il collezionista possiede. Il Museo Agostinelli appare come vera e propria opera d’autore, realtà in cui trova espressione la biografia, le idee, la visione del mondo ed i valori in cui crede il proprio allestitore. Il museo risulta di difficile classificazione: molto distante dal museo inteso in senso classico, al limite  mostra delle somiglianze con gli ordinari musei spontanei di matrice contadina. Allo stato attuale dei fatti, pur con molti limiti e molte mancanze (specie sul piano prettamente museografico: assenza di inventario, problemi d’identificazione e classificazione di oggetti, assenza di validi apparati didattici e comunicativi), limiti e mancanze derivanti dalla scarsità di spazi, fondi ed energie a disposizione del fondatore, il Museo Agostinelli mostra di avere un alto valore culturale nella misura in cui, per lo meno a livello potenziale, si propone quale ponte tra noi ed il mondo che al suo interno è rappresentato, il mondo pre-industriale rimosso a partire dall’avvio del processo di modernizzazione del paese che ha avuto inizio nel dopoguerra.

CIPPO SCULTOREO “COLONIA DRACONIS”

Il cippo artistico in travertino romano è stato commissionato dal Comitato Cittadino di Dragona al maestro scultore Giuseppe Faella  per essere  posto in un aiuola gestita dallo stesso comitato all’ingresso del quartiere di Dragona ( parcheggio  in via Francesco Donati adiacente parco pubblico) a ricordo delle origini storiche del quartiere. Per la realizzazione il maestro Giuseppe Faella si è avvalso della collaborazione del locale Istituto scolastico “Marco Ulpio Traiano” del docente all’insegnamento di educazione artistica Natali e degli alunni di alcune classi della scuola media. Per la consulenza storica e iconografica il maestro Giuseppe Faella si è avvalso della collaborazione dello scrivente in riferimento agli studi storici condotti e pubblicati dallo stesso sull’origine del nome . La posa del Cippo è avvenuta il giorno 21 ottobre 2005 alle ore 11,00 alla presenza del Presidente del Municipio Roma XIII Davide Bordoni, del consigliere Andrea Storri, rappresentanti del Comitato Cittadino di Dragona, dell’Istituto Comprensivo “Traiano” e delle associazioni locali

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
  • Liber Pontificalis;
  • Liber Pontificalis II, 82;
  • Della Campagna Romana nel Medioevo. Illustrazioni delle Via Ostiense e Laurentina di Giuseppe Tomassetti;
  • Quaderni del centro di studio per l’archeologia Etrusco-Italica; Archeologia Laziale II;
  • Le Città di Mussolini  Cristoforo Mercati (Krimer);
  • Il Delta del Tevere. Un viaggio tra passato e futuro a cura di Carlo Bagnasco. Fratelli Palombi Editori;
  • Lido di Ostia – mare di Roma III edizione Publidea 95  Memmo Caporilli e Giuseppe Lattanzi; Giulio Mancini; Piero Labbadia;
  • I “XXV” della campagna romana di R. Mammucari con la presentazione di E. M. Eleuteri;
  • Dragona ieri e oggi  Istituto Comprensivo “M. U. Traiano”  a cura di  Marta Mazzuccato Emidi;
  • Ostia ; Guide archeologiche Laterza  di Carlo Pavolini;
  • Duilio  Litorale  febbraio  2000  Ostia  Sparita  “Ficana” a  cura  di Piero Labbadia;
  • Duilio Litorale marzo/aprile 2000 Ostia Sparita “Villa rustica di Dragona” a cura di Piero Labbadia;
  • Duilio Litorale giugno 2000 Ostia Sparita “Via Ostiense: viadotto di Acilia” a cura di Piero Labbadia;
  • Duilio Litorale  ottobre 2000 Ostia Sparita “ I XXV della Campagna Romana” a cura di Piero Labbadia;
  • Duilio Litorale  aprile 2001 Ostia Sparita “ Dragona: alle origini del nome” a cura di Piero Labbadia;
  • Quadrante Ovest  2 aprile 2000 “Dragona né quartiere né paese” a cura di Paola Vertova

Nota bibliografica.

Un libro nasce sempre da altri libri, si alimenta di informazioni, fonti, documenti dai quali trarre informazioni. Tutte queste fonti sono state più o meno citate all’interno del volume. L’autore si dichiara disponibile a citare gli eventuali autori dei testi e fotografie per i quali non sia stato possibile reperire la fonte.

Piero Labbadia, è nato a Formia (LT) il 25 aprile 1975, sposato, da sempre vive a Roma nel XIII Municipio, attualmente vive a Dragona. Imprenditore edile, geometra esperto in Beni Culturali, si dedica da alcuni anni alla divulgazione storica attività svolta parallelamente alla sua attività professionale.Autore di pubblicazioni di storia locale  (“Ostia Lido Palazzo del Governatorato  1924-1928” e coautore della III ed. del “Lido di Ostia-mare di Roma ”); ha collaborato alla progettazione di alcune aree archeologiche e di pregio urbanistico-architettonico .
I suoi studi trovano diffusione in articoli pubblicati dalla stampa locale, dove ha curato le rubriche a carattere storico, architettonico, e archeologico “Ostia Sparita” nel mensile Duilio Litorale e “Il Cenacolo” sul settimanale Quadrante Ovest.
Autore di numerosi articoli su mensili e quotidiani riguardo problematiche e iniziative inerenti il patrimonio storico e artistico del territorio ostiense.
Ha rilasciato numerose dichiarazioni su quotidiani nazionali e locali sul patrimonio culturale del XIII Municipio.
Ha ricoperto incarichi istituzionali ed in associazioni del territorio

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